venerdì 21 novembre 2008

La politica a colpi di click


Se la g di google assume le sembianze della regina Elisabetta allora vuol dire che qualcosa sta davvero cambiando. Sembra, infatti, che anche le più grandi e antiche
istituzioni del mondo si stiano evolvendo in direzione web. Non solo Barack Obama dunque. Se il neo eletto presidente americano ha di fatto messo in moto la rivoluzione tecnologica all’interno della casa bianca (pare infatti che gli sarà permesso di utilizzare il suo lap top nello studio ovale, prima volta nella storia) anche la vecchia Europa ha iniziato a interessarsi ai nuovi media. Ed ecco allora gli auguri di buon anno della regina d’Inghilterra ai suoi sudditi su youtube. O ancora la campagna elettorale francese che si è svolta a colpi di blog sui siti dei due candidati all’Eliseo.

Che cosa ha spinto in questa direzione? Buckingam Palace ha scommesso su youtube dando per certo un incremento di riscontro in termini di ascolti rispetto al vecchio e tradizionale messaggio di auguri trasmesso dalla bbc. Medesimo meccanismo scattato Oltralpe, dove gli staff delle campagne elettorali di Sarkozy e Royal hanno con tutta probabilità voluto puntare il tutto per tutto sul voto dei giovani andandoli a cercare proprio laddove si nascondono, online. L’interattività è stata il filo conduttore della campagna francese. I blog dei due politici, ad esempio, hanno contribuito molto ad avvicinare i cittadini ad avvertire l’esigenza di essere rappresentati, schierarsi e quindi andare alle urne.

Dev’essere stato questo il punto di partenza anche per il question time del premier britannico Gordon Brown. Downing Street, infatti, ha aperto un canale ad hoc su youtube grazie al quale i cittadini di sua maestà possono rivolgersi direttamente al primo ministro per qualsiasi esigenza o curiosità. Gli interrogativi digitali trovano risposta una volta a settimana direttamente dalla viva voce di Brown.

UN CITTADINO BRITANNICO SI RIVOLGE AL PRIMO MINISTRO GORDON BROWN

venerdì 14 novembre 2008

Obama: oggetto o soggetto del cambiamento?

Obama non ha vinto per i consensi ricevuti attraverso il web. Obama ha vinto grazie a ciò che rappresenta. Che poi sia riuscito a trasmettere più chiaramente e più diffusamente il suo messaggio grazie a internet, bè questa è un’altra storia. Il senatore afro americano ha parlato direttamente al cittadino medio, ne ha sollevato ansie e paure, speranze e desideri. Si è posto come il vicino di casa afflitto dalle stesse problematiche di qualsiasi altro americano. Obama proviene da uno strato sociale piuttosto umile, ha lavorato sodo per costruirsi la propria rispettabilità risalendo poco alla volta la ripida scala sociale statunitense. Ha visto con i propri occhi e sentito con le proprie orecchie quali sono gli ostacoli con cui l’americano cerca di scapicollarsi ogni giorno.

Anche chi è venuto prima di lui ha cercato di toccare gli stessi tasti e di fare leva sulle stesse emozioni con la sola differenza che nessuno prima di Obama poteva davvero definirsi uno del popolo. E il popolo, come è giusto che sia, se n’è accorto. Se sei un politico, se sei uno di Washington e se provieni da uno strato sociale medio alto, per quanto tu sia paladino dei valori democratici o ti batta per i diritti di chi fatica a emergere nella stratificata società statunitense, il cittadino medio continuerà a vederti come tale. Sarà difficile che possa sentirti come ‘uno di loro’.

Arrivare al popolo con gli strumenti del popolo. Ed ecco allora spiegato l’impiego del web da parte della sua campagna elettorale. Trovare il suo profilo su youtube, poterci diventare amico su facebook o su myspace è, in quest’ottica, la tattica migliore per porsi come uno del popolo. In questi termini Obama ha cavalcato l’onda del successo dei fenomeni di social networking e del web interattivo in generale. Nonostante tutti i meriti che gli si debbono riconoscere non si può dire che sia lui l’artefice del cambiamento, quanto piuttosto che sia stato in grado di coglierne le opportunità e sfidare i tempi scoprendo un nuovo modo di fare campagna elettorale.

Tutto ciò gli ha permesso di arrivare laddove altri non sono arrivati, gli ha permesso di recapitare il suo ‘Yes we can’ in angoli remoti degli Stati Uniti. Il suo successo ha portato alle urne moltissime persone che non avevano mai votato prima. Non solo democratici, sia chiaro. Perché se da una parte ha incrementato la voglia di cambiamento dei democratici, dall’altra ha anche spaventato chi fin dall’inizio in questo cambiamento non ha mai voluto credere.

Il suo spirito innovativo è stato premiato, si è guadagnato la presidenza degli Stati Uniti. Il tempo delle promesse è però finito ed è giunto quello dei fatti. Non resta che aspettare e vedere se il suo nuovo modo di fare politica ripagherà le aspettative che esso stesso ha creato.

venerdì 24 ottobre 2008

venerdì 17 ottobre 2008

Esercitazione: i dipendenti Alitalia esultano alla notizia del ritiro di Cai



"Meglio falliti che in mano a questi banditi". Con queste parole hostess e piloti di Alitalia accolgono esultando l'annuncio della rottura delle trattative tra Cai e sindacati. In quel momento la notizia significava esattamente la fine della compagnia di bandiera e l'avvio delle procedure di fallimento. Eppure i dipendenti esultano. Perchè? Perchè i contratti di lavoro proposti dalla cordata italiana denigravano la professione. Perchè aumentava il monte ore lavorativo e si abbassava lo stipendio. Perchè gli esuberi che si profilavano erano ben oltre quelli annunciati all'inizio dei confronti sindacali. Ma soprattutto perchè, stando alle dichiarazioni di piloti e assistenti di volo, non c'era stato fino a quel momento un vero confronto sindacale che tenesse conto delle posizioni e delle richieste della loro categoria. Alcune tra le sigle con più seguito nell'azienda dichiarano di essere state di fatto escluse dal tavolo delle trattative. Di essere state messe di fronte a un aut aut. Meglio fallire - dicevano i manifestanti - che finire nelle mani di una società che, per come stava affrontando il nodo degli esuberi, sembrava non avere più di tanto a cuore le sorti dei propri dipendenti. Forse si potevano evitare fischi, trombette e applausi ma sta di fatto che i lavoratori che hanno puntato i piedi e non si sono smossi dalle loro posizioni nemmeno di fronte alla concretizzazione dell'opzione fallimento, sono riusciti nei giorni successivi a ottenere la riapetura dei negoziati e non indifferenti riconoscimenti dei contratti che a distanza di qualche giorno sono stati poi siglati da tutti i sindacati presenti in Alitalia.

giovedì 16 ottobre 2008

C'era una volta il sogno americano


È difficile dire che cosa mi abbia spinto ad andare a vivere per tre mesi in una sperduta cittadina dell’Indiana. Ed è ancora più difficile scriverne, metabolizzare le esperienze che ho vissuto, i significati che vi ho attribuito e gli insegnamenti che ne ho tratto. Ancora oggi, nonostante siano passati diversi mesi dal mio rientro, mi sento chiedere a ripetizione che cosa mi abbia spinto a optare per una destinazione così insolita rispetto alle mille luci e agli enormi stimoli che una grande città americana mi avrebbe potuto dare. L’idea che avevo degli Stati Uniti era inevitabilmente diversa da quella che mi sono fatto dopo questi tre mesi. Televisione, giornali, viaggi precedenti e racconti di amici parlavano per forza di un’America diversa. Non ho vissuto l’America dei film, non ho abitato vicino a nessun grattacielo. Mi svegliavo la mattina e dalla finestra della mia camera vedevo soltanto mais e cisterne d’acqua, pick up e casette di legno. Il numero di abitanti dell’intero stato dell’Indiana non raggiunge quello della sola New York City. Richmond, la città dove ho vissuto, conta circa 40mila abitanti, molti meno di Treviso, la mia città di origine. Non esistono bar, nel senso in cui li intendiamo noi, non esistono locali notturni e Wal Mart e Walgreens sono gli unici posti in cui fare shopping. Persone conosciute per caso durante un mio precedente viaggio negli States sono diventate dei punti di riferimento insostituibili. Vivere a stretto contatto con loro ogni giorno mi ha aiutato a comprendere le dinamiche che regolano la vita quotidiana di un americano medio. Lo stesso americano medio di cui tanto si sente parlare ultimamente. Quello colpito dalla crisi dei mutui, quello che ancora non sa se voterà per Obama o per McCain. Quello che pranza e cena al fast food e quello che pensa che l’Italia sia il paese dei balocchi solo perché ha sentito dire che dalle nostre parti si mangia piuttosto bene. Ho imparato ad abbandonare gli agi che caratterizzavano il mio stile di vita, semplicemente perché non c’erano. Ho imparato quanto può essere triste vivere il sogno americano.